Ogni fine anno si comincia a parlare di liste, propositi, obiettivi.
Di ciò che faremo, costruiremo, aggiungeremo.
Ma quasi mai di ciò che sceglieremo di lasciare andare.
Eppure, nel mio lavoro – nelle aziende, nello sport e nei percorsi individuali – le svolte più forti raramente arrivano se non si pensa anche a questo.
Quasi sempre arrivano da qualcosa che, finalmente, smettiamo di fare.
Sembra controintuitivo, ma ha una logica molto semplice: aggiungere è rassicurante, togliere no.
Il cervello è programmato per accumulare: attività, impegni, processi, aspettative.
È un istinto antico, biologico e culturale.
Ma tutto ciò che aggiungiamo ha un costo: attenzione, energia, spazio mentale.
E quando la somma supera la soglia, perdiamo efficacia, lucidità, direzione.
Il paradosso: aggiungere stanca, eliminare libera
A fine anno molti partono con una lista di “cose da fare”.
Più la lista è lunga, più sembra di essere motivati.
Ma la motivazione non basta se il sistema è già saturo.
Quando affianco un manager, un atleta o un gruppo, lo vedo chiaramente: non è l’azione in più che fa la differenza.
È capire cosa non serve più.
Cosa spreca energia.
Cosa entra in conflitto con ciò che vogliamo diventare.
È successo anche a me, molte volte
Penso a un dirigente che seguo da un po’ di tempo.
Ogni volta che si trovava davanti a una difficoltà, cercava una soluzione da aggiungere: un’altra riunione, un nuovo strumento, un processo diverso.
E più aggiungeva, più perdeva controllo e chiarezza.
Il punto di svolta è arrivato quando abbiamo iniziato a togliere.
Una riunione.
Un’abitudine.
Una pretesa.
Liberare spazio – mentale e operativo – ha permesso di ritrovare una direzione chiara.
Nello sport succede lo stesso: un atleta migliora non solo quando introduce una tecnica nuova, ma quando smette di fare qualcosa che lo blocca.
Un gesto automatico che sembrava efficace ma non lo era, una rigidità mentale che si scioglie, un pensiero di troppo che finalmente si spegne.
E accade anche nel coaching individuale: spesso l’ostacolo non è ciò che manca, ma ciò che si trascina da troppo tempo.




Lasciare andare è un’azione, non una resa
Dal punto di vista neurocognitivo, lasciare andare è un processo attivo: richiede attenzione, selezione, inibizione di schemi obsoleti.
Non è “mollare”.
Non è rinunciare.
È decidere dove mettere energia.
E questa è una delle parti più delicate del coaching: lavorare non solo su ciò che una persona vuole ottenere, ma su ciò che ha bisogno di lasciare per potercela fare.
Convinzioni, abitudini, ruoli, aspettative.
A volte, perfino un pezzo di identità che non rappresenta più.
Il nuovo anno non ha bisogno di più impegno, ma di più spazio
(e soprattutto di non riempirlo immediatamente con altri “intrusi”)
Molti pensano che serva la lista perfetta.
Io credo serva piuttosto una domanda semplice: cosa scelgo di non portare con me?
È una domanda che apre, alleggerisce, chiarisce.
Che permette di creare un piano d’azione più reale e sostenibile.
Che mette in luce cosa merita davvero attenzione.
Alla fine, ciò che lasciamo andare definisce quanto potremo costruire.
E il nuovo anno non ci chiede di essere diversi,
ma di essere più lucidi nel decidere cosa vale la pena tenere –
e cosa no.
Articolo di Isabella Bombagi