Dal contenuto alla vendita: il customer journey come bussola

Le persone non comprano prodotti, comprano passaggi di stato.

Capire il customer journey significa leggere in sequenza i passaggi mentali, informativi e operativi che portano dall’ignorare un brand al raccomandarlo.

Per un’azienda orientata a risultati misurabili il journey non è un’idea astratta ma una mappa che unisce comunicazione, canali e processi con obiettivi chiari. Pensarlo così consente di ridurre le frizioni lungo il percorso, progettare contenuti per intenti specifici, bilanciare investimenti tra marca e performance e misurare in modo coerente.

Il risultato è un OSP (Own Selling Proposition) percepito come alto, cioè un’offerta distinta e credibile, che rende più semplice scegliere il brand e rimanerci nel tempo.

Indice

  1. Cos’é il customer journey
  2. Fasi e touchpoint spiegati con esempi reali
  3.  Vantaggi competitivi della mappatura
  4.  I customer journey, diverse direzioni e dove agiscono
  5.  Il consumer journey fuori dal funnel
  6. Conclusione e prossimi passi operativi

Cos’è il customer journey

Il customer journey è la sequenza di fasi, awareness, interesse, valutazione, acquisto, fidelizzazione e advocacy, che una persona attraversa prima e dopo l’acquisto, connessa da touchpoint fisici e digitali come sito, email, store, recensioni, passaparola.

Le fasi del Customer Journey

La rappresentazione a funnel aiuta a impostare il lavoro, ma nella pratica il percorso è non lineare e include un’area di esplorazione e confronto in cui l’utente entra ed esce dalle alternative.

Per questo la progettazione non può limitarsi al messaggio singolo. Serve un ecosistema coerente che renda ogni passaggio intuitivo e che faccia percepire continuità tra ciò che il brand promette e ciò che mantiene. Se la rotta è chiara, la fiducia cresce e le metriche migliorano, dal tasso di clic al valore vita cliente.

Fasi e touchpoint e esempi reali

In awareness l’obiettivo è essere riconoscibili e rilevanti senza forzare la vendita. Patagonia con “Compra meno, scegli meglio” posiziona un principio e apre una relazione basata su valori.

Mutti con “Il pomodoro come dovrebbe essere” definisce uno standard di qualità che orienta la percezione. Moncler con “Genius is a process” mostra innovazione continua.

In interesse servono asset trovabili che aggancino ricerche intenzionali. IKEA con “Idee che stanno in casa tua” collega ispirazione e vita quotidiana, Illy con “La scienza del buon caffè quotidiano” offre competenza utile, Dyson “Mostra quello che non vedi, la polvere” visualizza il problema che il prodotto risolve.

In valutazione vincono prove e trasparenza. Apple “Privacy di default, non di lusso” abbassa l’ansia sul dato, Barilla “Tracciabilità e grano scelto” rende verificabile la promessa, Allianz “Preventivo chiaro in 3 passaggi” semplifica la scelta.

In acquisto contano fluidità e rassicurazione. Amazon “Consegna quando vuoi tu” dà controllo, Nespresso “Ordini oggi, gusto domani” accorcia l’attesa, Yoox “Reso facile, senza pensieri” riduce il rischio percepito.

Nella fidelizzazione si coltiva abitudine. Netflix “Ti conosciamo, ecco cosa amerai” personalizza, Decathlon “Manutenzione semplice per far durare lo sport” estende il valore d’uso, Sephora “Beauty bank, punti che valgono davvero” premia la relazione.

Nell’advocacy si facilita il passaparola. Satispay “Invita un amico risparmi in due” incentiva la condivisione, Airbnb “Ospitalità che si racconta da sola” mette al centro esperienze reali, Glossier “Real people, real looks” valorizza contenuti degli utenti.

Il consumer journey fuori dal funnel

Il classico funnel descrive il customer journey come un imbuto lineare che dall’awareness conduce all’acquisto e poi all’advocacy. Questo schema è utile, ma semplificato. Nella realtà il percorso raramente è così ordinato: gli utenti alternano fasi di apertura e chiusura, esplorano opzioni, tornano indietro e cambiano direzione.

Google Consumer Insights ha definito questo spazio intermedio “messy middle”, l’area caotica che separa il primo trigger dalla decisione finale.

Qui i consumatori entrano in due stati mentali distinti:

  • Esplorazione: un’attività espansiva, in cui l’utente amplia le opzioni raccogliendo informazioni da motori di ricerca, social, siti di recensioni, comparatori.
  • Valutazione: un’attività riduttiva, in cui restringe progressivamente le alternative, confronta condizioni e sceglie.

Anche McKinsey (società di consulenza manageriale americana) ha sottolineato questa dinamicità con il modello del “loyalty loop”: la fedeltà non è un punto finale ma un ciclo in cui l’esperienza positiva porta a riacquisto e raccomandazione, riducendo la durata delle valutazioni successive.

Per le imprese il messaggio è chiaro: il customer journey non va pensato come linea retta ma come sistema complesso di stimoli, touchpoint e ritorni. Presidiare il messy middle significa essere presenti con contenuti chiari e prove visibili, perché è in quell’area che si gioca la decisione finale.

Vantaggi competitivi della mappatura

  1. Riduzione delle frizioni: analizzare cosa pensa e fa l’utente in ogni fase rivela attriti nascosti, dal modulo troppo lungo al checkout poco chiaro.
  2. Allocazione efficace del budget: distinguere contenuti di marca da quelli di risposta alla domanda evita di pagare conversioni fredde e distribuisce meglio le risorse.
  3. Allineamento organizzativo: ogni touchpoint ha obiettivo e responsabile, riducendo dispersioni e accelerando decisioni.
  4. SEO e lead quality: contenuti organizzati per intenti migliorano copertura semantica e qualità del traffico.
  5. Valore vita cliente: onboarding, loyalty e referral trasformano l’utente in promotore, diluendo il costo di acquisizione e stabilizzando i ricavi.

Cosa portare a casa, in pratica

  • Ogni esempio funziona perché rispetta la logica della fase in cui agisce: promessa chiara, metrica coerente, call to action implicita.
  • Trasforma gli slogan in sistemi: Patagonia vive nei servizi di riparazione, Apple nelle impostazioni di privacy, Amazon nelle opzioni di consegna, Netflix nelle raccomandazioni, Satispay nel referral.
  • Misura una frizione alla volta: familiarità in awareness, qualità sessioni in interesse, tasso di completamento in valutazione, abbandono carrello in acquisto, riacquisto nel post vendita, referral in advocacy.
  • Allinea canali e processi: se il claim parla di semplicità ma il modulo è complesso, il journey si spezza.

Conclusione e prossimi passi operativi

“Le persone non comprano prodotti, comprano passaggi di stato.”

Questa frase riassume l’essenza di ciò che chiamiamo customer journey. Non si tratta di uno schema rigido né di un percorso a tappe obbligate, ma di una traiettoria mentale ed emotiva che ciascun cliente attraversa. Da un lato c’è l’ignoto, la distanza da un brand mai visto prima. Dall’altro c’è la fiducia, la scelta, persino la raccomandazione. In mezzo, una serie di contatti, esperienze e messaggi che fanno la differenza tra restare invisibili o diventare preferiti.

Pensare al customer journey come a una mappa è utile perché restituisce ordine a un processo che appare caotico. Significa vedere il filo che unisce comunicazione, canali e scelte reali. Ogni contenuto trova così il suo posto: non più sparato nel vuoto, ma progettato per entrare nel momento giusto della storia del cliente.

Quando funziona, questa mappa non è teoria. Diventa uno strumento concreto di business. Permette di capire dove si inceppa il rapporto con il pubblico, di ridurre le frizioni, di bilanciare investimenti tra brand e performance. È il modo per dare coerenza a dati, campagne e narrazioni, trasformando il marketing in una leva che produce risultati misurabili.

Alla fine, il customer journey non è un concetto da slide, ma un’esperienza da vivere. Per l’azienda che lo usa come bussola e per il cliente che, senza accorgersene, si ritrova accompagnato passo dopo passo fino a dire: “Scelgo questo brand e lo consiglio”.

Articolo di Stefania Vannucci

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