Dal “perché” al “come”: trasformare la rabbia in una guida potente

Nel mio precedente articolo ho raccontato di come la rabbia, per mesi, mi abbia accompagnata come un’ombra.
Non era un episodio isolato o legato a un fatto preciso: era una presenza costante, carica di una sensazione viscerale di ingiustizia, di fatica, di lotta continua.
E di come, passo dopo passo, abbia scelto di guardarla e lasciarla decantare, fino a trasformarla in qualcosa di diverso.

Questa volta voglio raccontare come l’ho affrontata, e come affronto le emozioni intense, nella mia vita e nel mio lavoro.
Non da psicologa – non lo sono, e non sarebbe il mio ruolo – ma da persona consapevole e da coach che conosce bene il valore, e anche la scomodità, delle emozioni.

Tutte le emozioni hanno senso

Spesso, a me stessa e ai miei clienti, ricordo che tutte le emozioni sono significative.
Non arrivano per caso: sono sempre una risposta a stimoli esterni e raccontano molto di noi, del nostro sentire, di ciò che per noi conta davvero.
E come ogni segnale, vanno ascoltate.

Il consiglio che do – e che seguo per me – è di non fare resistenza.
Quando opponiamo resistenza a un’emozione, creiamo un corto circuito.
È un po’ come una scossa elettrica: se resta intrappolata, invece di attraversarci, può fare danni seri.
Se invece la lasciamo fluire, può attraversarci e andarsene.

Immergersi per attraversare

Per me, accettare un’emozione significa immergermi in essa.
Come entrare in una vasca, in una piscina o nel mare.
Lasciarsi avvolgere, percepirla, sentirne il peso e la temperatura.
Osservarla da dentro, farla fluire, “digerirla” se serve.
E poi, con calma, lasciarla andare.
A volte basta una volta sola.
Altre, serve tornarci più volte.

Il rischio della domanda “perché?”

Molte persone, quando vivono emozioni forti, vanno in tilt.
E iniziano a chiedersi: “Perché mi succede? Perché reagisco sempre così? Perché gli altri fanno così con me?”
È naturale, ma può essere una trappola.
Il “perché” è importante, certo, ma restarci incastrati è rischioso: finiamo per avvitarci sul passato e sulle cause, invece di muoverci verso il cambiamento.

E nel coaching il “perché” non è il punto centrale.
Capire l’origine profonda di certi meccanismi è lavoro prezioso, ma è terreno psicologico, non di coaching.
Ed è giusto che a farlo sia uno psicologo, soprattutto se c’è un trauma o un disagio specifico da elaborare.

Quando la rabbia nasce dall’impotenza

Molte volte, la rabbia nasce da qualcosa di diverso: il senso di impotenza.
Quelle situazioni che ci piombano addosso senza che possiamo farci nulla.
E che percepiamo come profondamente ingiuste.

In quei momenti, le domande arrivano a raffica:
“Perché sempre a me?”
“Mai una gioia.”
“Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?”

È umano sentirle.
Ma anche qui, restare ancorati a queste domande rischia di intrappolarci.
Il punto non è negare la difficoltà o fingere che vada tutto bene.
Il punto è ricordarci che ci sono cose fuori dal nostro controllo, e che l’unico spazio su cui possiamo agire è il nostro atteggiamento.

Se piove il giorno in cui volevamo andare al mare, possiamo passare la giornata a maledire il meteo oppure decidere come viverla al meglio in quelle condizioni.
E lo stesso vale per situazioni molto più grandi e dolorose, come la malattia di una persona cara.
Non possiamo scegliere che non accada.
Ma possiamo scegliere come esserci.
E questa scelta, spesso, fa la differenza tra sentirci bloccati e trovare comunque un senso di presenza e direzione.

Dal “perché” al “come”

Il coaching guarda altrove.
Il mio lavoro, con me stessa e con gli altri, parte da una domanda diversa:
“Se così non ti piace, come vorresti che fosse?”

E da lì:

  • Come vuoi cambiarla?
  • Cosa puoi modificare in te e nelle tue azioni per arrivarci?
  • Quali passi concreti puoi fare oggi per muoverti in quella direzione?

Significa passare dall’essere concentrati sul passato al creare una visione produttiva e responsabile, orientata al futuro e alle azioni presenti.
Vuol dire allenarsi a scegliere e agire per realizzare le migliori condizioni possibili per sé.

Perché funziona

Quando spostiamo lo sguardo dal “perché” al “come”, la rabbia – e ogni emozione intensa – smette di essere un ostacolo e diventa un indicatore.
Non la combattiamo più: la sfruttiamo nel modo migliore.
E in questo modo, anche nei momenti più duri, restiamo protagonisti delle nostre scelte e costruttori della nostra vita.

Articolo di Isabella Bombagi

Post fazione di Alessandro Chiavacci
Ringrazio Isabella per questo fantastico articolo di chiusura (per quanto riguarda le nostre voci fuori dal marketing) prima delle meritate ferie estive. La ringrazio perché questo articolo è “su commissione”. Per gravissimi problemi personali, anche io sono nel mezzo di un periodo di “rabbia” da impotenza e ho “indotto” Isabella a dare una sorta di chiusura al precedente articolo anche e soprattutto per aiutarmi a guardare con maggiore ottimismo a questo “nero” che avvolge la mia sfera personale.

Anche se sono un paio di giorni al mare per leccarmi le ferite di una vita sempre più complessa, leggere queste tue righe mi ha strappato mezzo barlume di speranza.

“Costruttori della nostra vita”.

Grazie Isa!

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