Oggi l’intelligenza artificiale sta diventando uno strumento sempre più pervasivo e potente. A colpirmi, qualche settimana fa, è stata una lettura del report The State of Marketing 2025 di Hubspot: è ormai evidente che siamo passati dalla fase della sperimentazione ludica a un utilizzo maturo e strategico dell’AI, soprattutto nel campo dei contenuti editoriali.
L’AI come redazione aumentata
Quando abbiamo lanciato l’Editorial Hub, lo abbiamo fatto partendo da un’intuizione: e se una redazione aziendale potesse lavorare come una vera redazione giornalistica, con strumenti di AI a supporto e una regia umana forte e competente? Oggi possiamo dire che quella visione si sta realizzando. I primi progetti con i clienti ci hanno confermato che un mix sapiente di strumenti AI e presenza umana genera contenuti di altissimo valore, scritti con una voce riconoscibile, spesso più coerente di quella che otterrebbe un ghost writer esterno.
Il processo è semplice solo in apparenza: partiamo da conversazioni registrate (ovviamente previo consenso) durante le nostre call con i clienti, da cui estraiamo tono di voce, linguaggio, intenzioni. Poi carichiamo quei materiali all’interno degli strumenti – NotebookLM, Claude, Gemini, ChatGPT – e costruiamo uno spazio di lavoro che impara a scrivere come se fosse il cliente stesso.
Dall’automazione alla valorizzazione
All’inizio usavamo l’AI per compiti di trasformazione: convertire un testo in un’immagine, un articolo in uno script. Oggi ci spingiamo oltre: convertiamo un’idea in un articolo perfettamente coerente con la voce, i valori e le esigenze del cliente. Non è solo produzione automatica, ma valorizzazione profonda dell’identità editoriale.
Ovviamente tutto ciò non sostituisce il lavoro umano, ma lo amplifica. Ogni contenuto va verificato, ripulito, rifinito, più e più volte. Gli strumenti possono sbagliare, “allucinare”, interpretare male. Serve sempre l’intervento critico, strategico e creativo di una persona (i nostri prompt anti allucinazione sono sempre in continuo sviluppo!).




Zed, regia e cultura dell’esperimento
L’obiettivo, ora, è costruire un sistema di lavoro e pensiero in grado di integrare AI, redazione e strategia, magari iniziando a integrare nuove risorse nel nostro “gioco”, sia giovanissimi che persone con esperienza lavorativi, tutti uniti dalla voglia di creare qualcosa di innovativo e diverso, anzi direi “laterale”.. È il nostro modo per dare una forma organica a un processo che unisce apprendimento, sperimentazione e produzione di valore reale. Uno spazio dove si gioca, si testa, si sbaglia e si ricomincia.
Come dice bene Dane Vahey, Head of Strategic Marketing di OpenAI, abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie delle potenzialità dell’AI. È come quando si scopre il “CERCA.VERT” su Excel e si capisce che dietro c’è un mondo. Siamo solo all’inizio, ma i segnali sono chiari: l’AI non è uno strumento per smettere di lavorare. È un moltiplicatore. E imparare a usarla significa giocare con intelligenza.
Un gioco serio
Nella nostra esperienza, imparare a lavorare con l’AI richiede lo stesso approccio che si ha quando si gioca seriamente. Serve curiosità, spirito critico, capacità di osservare e apprendere. E soprattutto serve tempo, tanto tempo.
Molti continuano a vedere l’AI come una minaccia o come una scappatoia. Ma chi lavora davvero sa che l’AI non riduce il lavoro: lo cambia, lo sposta, lo arricchisce. Un po’ come accadde, più di un secolo fa, con l’automobile. All’epoca sembrava un rumore fastidioso. Oggi è la normalità.
Con l’AI succederà lo stesso. E chi impara a giocarci bene, prima degli altri, avrà un enorme vantaggio. So “just play the game”.
Articolo di Alessandro Chiavacci