Guardare le cose da un altro punto di vista

Oggi ho incontrato un giovane calciatore di dodici anni.

Mi ha colpito il modo in cui rispondeva alle domande: aperto, curioso, creativo.

Ogni volta che lo ascoltavo, mi accorgevo che la sua mente spaziava in direzioni che io non avrei considerato.

Non per mancanza di fantasia, ma perché la mia esperienza — la vita, il lavoro, gli anni — ha costruito dentro di me mappe precise, percorsi abituali, collegamenti logici.

Lui invece no.

Si muoveva libero, senza confini.

E in quel momento ho capito che stavo guardando la stessa realtà da due prospettive completamente diverse.

Io dalla mia, adulta, piena di riferimenti e abitudini; lui dalla sua, ancora nuova, piena di possibilità.

E ho pensato che questa, in fondo, è la vera ricchezza del confronto:

vedere le cose con occhi che non sono i nostri.

Non serve un grattacielo o un panorama mozzafiato per cambiare prospettiva.

A volte basta sedersi accanto a qualcuno che guarda il mondo da un punto di vista diverso dal nostro.

Perché, in realtà, nessuno di noi può guardare le cose da un punto di vista neutro.

Siamo sempre influenzati da ciò che siamo: la nostra storia, le esperienze, le emozioni, le convinzioni.

Il cervello non registra la realtà: la interpreta.

Costruisce significati sulla base di ciò che conosce e di ciò che teme, di ciò che desidera e di ciò che ha imparato a riconoscere.

Ma possiamo imparare a muoverci dentro questi filtri, a osservarli e, quando serve, a cambiarli.

Io, per esempio, non sono una persona particolarmente dotata di flessibilità cognitiva.

Quando vedo una direzione che mi sembra quella giusta, tendo a seguirla con determinazione.

È un tratto che mi appartiene e lo riconosco.

La mia grande fortuna è che, per mestiere, vivo costantemente a contatto con persone che guardano il mondo in modo diverso dal mio.

Ogni incontro, ogni colloquio, ogni sessione di coaching diventa un’occasione per uscire dalla mia scatola e scoprire una prospettiva alternativa.

È come se, ogni giorno, qualcuno mi portasse sul tetto di un grattacielo a guardare la stessa strada da un altro punto di vista.

Questo è ancora più evidente nei confronti generazionali.

Chi ha più anni porta esperienza, consapevolezza, capacità di analisi.

I più giovani portano libertà, immaginazione, rottura di schemi.

E quando questi due sguardi si incontrano, nasce una forma di intelligenza collettiva che arricchisce tutti.

Lo stesso vale per i gruppi di lavoro: la diversità è la vera risorsa.

Ogni persona è unica e, combinata con le altre, permette di vedere il mondo da angolazioni differenti, generando nuove idee e decisioni più efficaci.

E se volessimo allenarci a farlo, anche da soli, potremmo cominciare con un piccolo esercizio:

davanti a una situazione difficile o complessa, pensiamo a una, due o tre persone che conosciamo (o anche personaggi immaginari) e chiediamoci:

“Come guarderebbe a questa cosa?”

“Cosa farebbe al posto mio?”

“Cosa mi direbbe?”

Non è solo un esercizio di immaginazione.

Quando il cervello si “mette nei panni di qualcun altro”, attiva circuiti neurali diversi e cambia il modo in cui interpreta la realtà.

Anche solo per pochi istanti, simulare un altro punto di vista fa sì che il cervello cambi frame percettivo:

ristruttura le connessioni, apre nuove possibilità e rende più flessibile il pensiero.

È un modo semplice ma potente per spostare lo sguardo.

Per allenare la mente ad aprirsi e trovare altri significati, altre soluzioni, altre possibilità.

Perché non possiamo cambiare il mondo in un istante, ma possiamo scegliere da dove guardarlo.

E, quasi sempre, questo cambia tutto.

Articolo di Isabella Bombagi

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