L’arte non da risposte: interroga.

In un’epoca che corre a offrire risposte rapide, veloci, confezionate per piacere…

l’arte resta lì, immobile a chiedere, silenziosamente.

Mica ti dice “compra questo o quello”,

Piuttosto ti sussurra: “che cosa stai cercando davvero?”

Una buona comunicazione può emozionare ma la comunicazione visionaria pone domande.

Per questo l’arte contemporanea è ancora oggi la risorsa più radicale per chi desidera fare branding con autenticità:

Invece di “dire” …inquieta, invece di definire …apre, invece di cercare consenso …attiva riflessioni e critiche.

Quando un brand, un’azienda, un professionista smette di megafonare “ecco cosa faccio” e inizia a domandare “cosa senti?”…avviene il miracolo:

il pubblico si riconosce, si avvicina, …per essere ascoltato (lo ascolterai?).

Chi comunica per vendere dà risposte.

Chi comunica per restare e fidelizzare, fa domande e in quelle domande lascia spazio all’altro.

L’arte, in fondo, lo fa da sempre:

ti porta davanti a un quadro, a una parola, a un gesto… e poi tace. Infatti è lo spettatore a completare il significato. È il pubblico a portare la sua parte.

E non serve spiegare tutto: 

la comunicazione che fidelizza, vibra anche nell’insoddisfazione apparente del pubblico, nella critica, non se la prende, riflette e migliora. Sa che ha colpito: “tornerò a guardare, perché sento che c’è qualcosa per me.”

E allora, se sei un’impresa visionaria, se vuoi distinguerti senza megafono, se desideri che il tuo pubblico ti riconosca…

comincia a fare domande a chi ti segue.

Perché la relazione si costruisce nel dubbio condiviso,

più che nella risposta perfetta!

Pensa all’arte, e magari valuta se può essere una bella identità: il mecenate che fa domande, che condivide, che crea spazi condivisi.

Articolo di Deborah Mendolicchio

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