Negli ultimi anni sembra che tutto ruoti intorno agli obiettivi.

Obiettivi di carriera, di forma fisica, di produttività, di crescita personale.

Ovunque un messaggio costante: se non hai un obiettivo, non stai andando da nessuna parte.

Io credo che gli obiettivi siano importanti.

Ma anche che siano, spesso, sopravvalutati.

Perché fissare una meta non significa automaticamente sapere dove stiamo andando, né perché.

E in molti casi, l’obiettivo rischia di diventare una gabbia ben decorata: una promessa di successo che ci allontana dalla nostra vera direzione.

Quando l’obiettivo è un miraggio

Abbiamo trasformato l’obiettivo in un feticcio, come se bastasse definirlo per essere già a metà strada.

Ma senza consapevolezza, un obiettivo può essere una fuga travestita da progresso.

Molti inseguono traguardi che non sono davvero i loro — obiettivi costruiti sulle aspettative altrui, sui modelli di riferimento, sulle pressioni sociali.

E quando li raggiungono, scoprono che non li rappresentano affatto.

Il successo, in questi casi, somiglia più a un fallimento elegante.

Identificare, definire e pianificare un obiettivo richiede tempo, introspezione, ascolto.

Richiede consapevolezza.

Perché se non conosciamo a fondo ciò che per noi conta davvero, l’obiettivo rischia di diventare un punto sulla mappa che ci porta lontano dal nostro centro.

Le parole che scegliamo contano

Anche la forma con cui formuliamo un obiettivo è determinante.

Le parole non sono neutre: costruiscono realtà.

Il cervello non distingue nettamente tra ciò che viviamo e ciò che immaginiamo.

Dire “vorrei riuscire” attiva circuiti di desiderio e attesa; dire “sto costruendo” attiva reti di azione e direzione.

È come dare un comando al sistema nervoso: il linguaggio diventa la prima azione concreta verso ciò che vogliamo realizzare.

Molti obiettivi falliscono non perché siano sbagliati, ma perché non sono incarnati nel linguaggio di chi li formula.

Sono scritti in modo astratto, condizionale, lontano.

E il cervello, che ha bisogno di rappresentazioni chiare per attivarsi, non trova appigli.

Il piano che manca

Un obiettivo senza un piano è come una mappa senza strada.

Troppo spesso ci concentriamo sull’idea di “vision”, ma dimentichiamo la parte che richiede concretezza: i passi, il ritmo, i feedback.

Il cervello ha bisogno di progressi tangibili per mantenere la motivazione.

Senza di essi, l’energia iniziale si esaurisce e subentrano frustrazione e dubbio.

Pianificare non significa rigidità.

Significa lasciare spazio alla realtà.

È l’azione consapevole a dare vita all’obiettivo, non l’obiettivo a generare l’azione.

L’obiettivo giusto nasce da dentro

Prima di definire un obiettivo, vale la pena fermarsi e chiedersi:

Cosa sto cercando davvero di costruire?

E quale parte di me lo sta scegliendo?

Creare consapevolezza significa evitare che l’obiettivo diventi un meccanismo di compensazione, un modo per riempire vuoti o confermare ruoli.

L’obiettivo giusto non è quello che ci rende “vincenti”, ma quello che ci fa sentire allineati con i nostri valori, la nostra identità e la nostra energia.

Dedicare tempo e attenzione a questi aspetti dovrebbe essere il cuore del coaching, ed è sicuramente il nucleo più importante del lavoro che svolgo nei percorsi individuali.

È anche il momento in cui emergono tutti gli elementi ostativi — convinzioni, abitudini, incoerenze — e in qualche modo, proprio per questo, è il più divertente.

Ancora oggi, dopo tante esperienze, ogni volta che mi focalizzo su un obiettivo — mio o di un coachee — mi ritrovo a riflettere su quali elementi lo rendono vero, motivante, sentito.

E ogni volta è diverso e personale.

Come molti aspetti del coaching (e non solo), la tecnica è semplice, lineare e ubiquitaria.

Ma la realizzazione è complessa e individualizzata.

Dal traguardo al processo

Gli obiettivi servono.

Ma non bastano.

Servono consapevolezza, linguaggio e azione.

Perché non è l’obiettivo che ci fa muovere: è il senso che gli diamo.

Forse dovremmo preoccuparci meno di scrivere obiettivi perfetti e un po’ di più di vivere processi autentici, capaci di trasformarci mentre li percorriamo.

Perché il vero successo non è arrivare, ma sapere perché stiamo andando proprio lì.

Articolo di Isabella Bombagi

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