Sono diventato/a coach… e adesso?

Quando si conclude un percorso di formazione per diventare coach, si apre una fase nuova. Una fase fatta di entusiasmo e smarrimento insieme.

Lo ricordo bene io stessa e lo vedo ogni volta negli occhi di chi inizia: da una parte entusiasmo, energia, valori forti e la filosofia chiara.

Dall’altra, una sensazione quasi destabilizzante: “E adesso cosa faccio? Da dove comincio?

È normale sentirsi spiazzati.

Il pezzo di carta, la certificazione, non bastano a farci sentire davvero coach.

Perché questa è una professione che prende forma solo “sul campo”.

E oggi voglio raccontarvi alcune cose che sono successe a me e che vedo ripetersi spesso anche nei miei allievi e colleghi.

Quando ti identifichi troppo

All’inizio c’è una grande voglia di vedere i propri coachee riuscire, quasi una necessità di dimostrare a se stessi che “funziona”.

A volte ci si identifica un po’ con loro: i loro successi sembrano i nostri, e le loro fatiche ci pesano più di quanto dovrebbero.

È un passaggio inevitabile, ma con l’esperienza si impara a mantenere la giusta posizione: essere al fianco, dalla parte del coachee, senza però sostituirsi a lui.

E qui arriva la mia prima grande lezione.

La mia prima coachee, infatti, è stato un clamoroso disastro.

Siamo entrate in simpatia, siamo diventate amiche e, senza rendermene conto, mi sono messa al suo posto.

Volevo così tanto che riuscisse, che alla fine le ho tolto lo spazio per agire, e il percorso si è fermato.

Un errore enorme, che mi ha insegnato per sempre che il coach non agisce al posto dell’altro.

E che mantenere la giusta posizione è un atto di responsabilità verso chi ci affida la propria crescita.

Quando arrivano coachee diversi da quelli “ideali”

Un’altra scoperta che arriva presto è che non sempre c si trova davanti “le persone che vorremmo”.

Non il target perfetto, non il profilo che immaginavamo quando abbiamo iniziato a studiare.

Ed è un feedback prezioso: ci dice molto sul nostro modo di proporci, sul messaggio che mandiamo al mondo.

Possiamo scegliere di cambiare per attrarre i coachee che desideriamo, oppure restare fedeli al nostro stile e accettare di lavorare con chi si sente davvero chiamato da noi.

In entrambi i casi, è un’occasione di consapevolezza.

Quando nasci davvero come coach

E poi ci sono i primi coachee, in generale.

Quelli che non si dimenticano mai.

I più difficili, i più impegnativi, quelli che mettono alla prova ogni certezza.

Non sempre i primi percorsi sono lineari, e capita di sentirsi inadeguati o di chiedersi se si è davvero sulla strada giusta.

Ma è proprio lì che nasce l’identità professionale: nelle cadute, nei dubbi, nelle revisioni.

Perché ogni feedback, ogni esitazione, ogni “non è andata come volevo” è materiale prezioso per diventare il coach che vogliamo essere.

Il viaggio inizia dopo la formazione

Diventare coach, in fondo, è un viaggio che non finisce con la formazione.

È un cammino che inizia dopo, quando i valori incontrano la realtà e la filosofia prende la forma della nostra pratica quotidiana.

Un cammino in cui si cresce insieme ai coachee, incontro dopo incontro, scelta dopo scelta.

E forse il segreto è proprio questo: ricordarsi che anche noi, come loro, siamo sempre in cammino.

Articolo di Isabella Bombagi

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