Per mesi ho avuto dentro una rabbia che mi faceva compagnia come un’ombra.
Non sempre si mostrava con veemenza, ma c’era. Pronta a emergere anche senza invito.
Faticavo a gestirla, ma la vedevo. E sapevo riconoscerne le radici.
Non era rabbia per qualcosa in particolare.
Era una rabbia più profonda.
Affiancata da una sensazione quasi viscerale di ingiustizia, come se l’universo avesse qualcosa contro di me.
Come se, nonostante l’impegno, la dedizione, la cura, io dovessi lottare ancora e ancora per conquistare ogni centimetro.
O difendermi da chi, appena abbassi la guardia, è pronto a colpirti, o almeno a spingerti via.
Un giorno, sorridendo amaramente, ho detto:
“Mi sento addosso la stessa rabbia che hanno gli adolescenti a un certo punto della loro vita.”
E forse era proprio così.
Una rabbia di chi sta cercando il proprio spazio, ma sente che il mondo è troppo stretto.
Per chi fa il mio lavoro, è facile cadere nella tentazione di razionalizzare, di “analizzare la propria rabbia”, darle un’etichetta e poi archiviarla.
Ma questa volta non volevo farlo.
Non volevo zittirla in fretta.
Ho scelto di ascoltarla davvero, e di darle tempo.
Perché la rabbia, quando la si attraversa con lucidità, può essere una grande maestra.
Ti indica ciò che per te è importante, dove ti senti tradita, dove desideri un confine più chiaro, dove vuoi riconoscimento, rispetto, pace.
Nelle ultime settimane, piano piano, è come se questa energia potente avesse iniziato a decantare.
Un po’ come accade dopo un’eruzione vulcanica:
dopo l’esplosione, quando la forza si ritira e il calore si attenua, la materia più pesante collassa.
Come un torrente in piena che, una volta placato, lascia a terra ciò che non può più trascinare con sé.
E così è stato anche per me.




Oggi sono meno carica di forza “dirompente”, ma più serena.
Non è solo quiete. È concentrazione.
Più rivolta a me, a ciò che voglio costruire davvero.
Nel mio lavoro incontro spesso persone – e ancora più spesso donne – che non si danno il permesso di essere arrabbiate.
Perché la rabbia “non sta bene”, non è educata, non è professionale.
Perché essere arrabbiate significa essere giudicate, isolate, respinte.
Eppure, quando quella rabbia finalmente esce, quando può essere guardata senza vergogna, allora lì succede qualcosa.
La persona prende contatto con una parte che aveva nascosto, e spesso lì sotto c’è forza, decisione, visione.
La rabbia non è sbagliata.
È solo ignorata, rimossa, deviata.
È un’energia potentissima, ma come tutte le energie forti, va letta, incanalata, integrata.
E se impariamo a farlo, smette di divorarci e comincia guidarci
Articolo di Isabella Bombagi