La realtà del mercato è più dura delle dashboard.
Ogni euro che investi in performance marketing senza una base di brand awareness è quasi una donazione al tuo concorrente. Mentre insegui CTR e conversioni, chi ha un nome già noto intercetta molte più vendite: secondo una meta-analisi Google/Ipsos su 61 studi, le search ads aumentano la top-of-mind awareness di 6,6 punti percentuali in media, anche senza click (Think with Google ). È il differenziale invisibile dell’attenzione: non lo leggi nei report, ma lo vedi nel conto economico.
I dati su oltre cento brand raccontano lo stesso scenario. Chi gode di alta awareness ottiene conversioni quasi triplicate rispetto a chi resta poco conosciuto. Chi è nel mezzo fa meglio dei deboli, ma gli ultimi in coda pagano un sovrapprezzo salato per ogni clic, inseguendo briciole sempre più care.
C’è un nome per il muro contro cui, con ogni probabilità, molti andranno a sbattere: efficiency cliff.

I costi di acquisizione salgono, i tassi di conversione non tengono il passo, i margini evaporano. Lo confermano anche i dati sul mercato digitale: il costo medio delle aste pubblicitarie online è cresciuto a doppia cifra anno su anno (eMarketer, GroupM), rendendo fragile ogni modello costruito solo su ottimizzazioni tattiche. È come accelerare su un ponte di legno: regge con poco traffico, cede appena il flusso aumenta.
Performance e marca: due metà dello stesso circuito
Per anni ci siamo innamorati del sogno del controllo totale. Le piattaforme digitali promettevano di misurare tutto, correggere in tempo reale, sapere cosa accadeva dopo ogni euro speso. Il lessico era potente: click, conversioni, ROAS. Ma riduttivo.
Funziona solo se la domanda esiste già. Se cerco il tuo prodotto, un annuncio brillante mi intercetta. Ma se non ti conosco, se non ti riconosco, serve altro: serve un motivo per ricordarti. E il motivo non nasce da un CPC limato, ma da un capitale invisibile fatto di memoria, fiducia, familiarità.
Uno studio condotto da Meta con iProspect su 64 casi in EMEA (Europe, Middle East and Africa) ha mostrato che le campagne hanno generato un aumento medio del 10,4 % nelle ricerche di marca (iProspect ). Significa che gli annunci non portano solo click immediati, ma fanno crescere il capitale mentale attorno al brand.
La marca non è un costo variabile, è un attivo. Accumula valore nel tempo, difende i prezzi, resiste ai cicli, riduce la sensibilità agli sconti. Tagliare l’investimento in awareness perché “la performance va bene” è come smettere di fare manutenzione a un ponte solo perché oggi non vedi crepe. Le crepe arrivano quando passa il convoglio pesante. E passano sempre.
L’Own Selling Proposition: la sorgente
La solidità di un brand si regge sull’Own Selling Proposition (OSP). Non è uno slogan, ma ciò che possiedi davvero e che nessun altro può copiare. Un brevetto, un processo produttivo unico, un ecosistema tecnico costruito negli anni, una tradizione verificabile che diventa garanzia di autenticità. È il nucleo che dà consistenza all’awareness e la rende duratura.
Gli esempi sono chiari. Apple ha trasformato l’integrazione verticale in un ecosistema che nessuno replica. Dyson ha fatto della ricerca e dei brevetti la propria identità. Hermès difende il metodo con tempi lenti e artigiani formati in casa. Patagonia ha reso la missione ambientale parte integrante di governance e prodotto.
Secondo Bain & Company (società di consulenza strategica internazionali), i brand del lusso che preservano distintività e heritage ottengono margini operativi fino al 20-30% più alti rispetto ai competitor con minore riconoscibilità.
Awareness come capitale invisibile
In termini operativi, brand awareness è la probabilità che una persona pensi a te nel momento d’acquisto. Non basta “ti conosco”, serve “ti ricordo quando serve”.
Lavora su tre leve cognitive: memoria (riduce il tempo di scelta), fiducia (abbassa la percezione di rischio), familiarità (rende più fluido dire sì a ciò che suona noto).

Risultato: più conversioni e CAC (Customer Acquisition Cost, cioè il costo per acquisire un nuovo cliente) più basso, a parità di budget.

Gli effetti a catena sono evidenti. Le campagne identiche rendono di più quando la firma pesa. Crescono le ricerche dirette, aumenta il traffico organico, il brand diventa uno scudo che difende il prezzo. Persino gli errori tattici vengono assorbiti meglio: la reputazione accumulata fa da ammortizzatore.
Il punto chiave
Il click è un evento. La marca è un accumulo. La crescita sostenibile arriva quando ogni click aggiunge un mattone al capitale simbolico, non solo una riga al report.

Articolo di Stefania Vannucci