Quando ho iniziato a lavorare con l’intelligenza artificiale, la sensazione iniziale è stata duplice: da una parte entusiasmo, dall’altra disorientamento.
L’AI generativa spalanca scenari affascinanti, ma per chi — come me — arriva da una lunga esperienza nella fotografia pubblicitaria, è facile percepirla anche come qualcosa che spezza una grammatica consolidata.
Poi ho capito che il problema non era l’AI in sé, ma l’assenza di metodo.
Se lasciata libera, genera. Ma se guidata, può costruire un nuovo linguaggio.
E così, in studio, abbiamo iniziato a chiederci: come possiamo usare la potenza dell’AI senza perdere il controllo creativo? Come possiamo mantenere coerenza, qualità e identità, anche in un processo più rapido e flessibile?
La risposta è diventata il nostro Hybrid Workflow.
Un sistema scalabile, non una soluzione unica
Il cuore dell’approccio ibrido è semplice: dividere il processo creativo in tre livelli, ognuno con un diverso grado di complessità, costi e possibilità espressive.
Non esiste una sola strada giusta: esistono livelli adattabili agli obiettivi del progetto.
Quello che non cambia mai, però, è la regia: ogni immagine nasce da un concept chiaro, una direzione creativa precisa, un’identità visiva forte.
Solo così l’AI diventa uno strumento, non una scorciatoia.
Livello 1: generazione completa
Nel primo livello, lavoriamo con l’AI per generare completamente le immagini, senza inserimento di elementi reali.
È perfetto per creare visual suggestivi, moodboard evolute, proposte concettuali da presentare al cliente o al team marketing.
Il vantaggio è la rapidità, ma anche qui non c’è nulla di casuale: ogni immagine è il frutto di un prompt studiato, coerente con la brand identity, e costruito con cultura visiva, non con fretta.
Livello 2: prodotto reale, sfondo generato
Nel secondo livello, lo sfondo è generato in AI, ma il prodotto è fotografato realmente in studio.
Qui entrano in gioco l’esperienza e il mestiere: luci corrette, prospettiva, dettagli, tutto deve essere allineato per fare in modo che l’inserimento nello sfondo risulti naturale e credibile.
È il livello perfetto per chi ha prodotti fisici da valorizzare con contesti premium, ma senza dover ricreare tutto in set o location.
La postproduzione unisce i due mondi, e il risultato mantiene l’estetica dell’eccellenza, con una gestione più snella dei costi e dei tempi.
Livello 3: tutto in camera
Il terzo livello è quello che preferisco.
Stampiamo lo sfondo generato in AI su supporto fisico (backlit, carta o display), lo posizioniamo in studio, costruiamo la scena reale in primo piano e scattiamo tutto in camera.
Nessun montaggio, nessuna simulazione: l’immagine esiste davvero.
Qui si fondono artigianalità e tecnologia: l’occhio del fotografo guida tutto il processo, dall’illuminazione alla composizione, e il risultato è una fotografia completa, credibile, ricca di suggestione.
Un metodo per proteggere la qualità
Questo workflow non è una moda.
È un sistema progettuale.
Ci permette di scalare la produzione senza sacrificare la qualità. Di adattarci ai brief senza perdere tempo in compromessi. Di gestire l’identità visiva in modo preciso, anche su grandi volumi di immagini.
Ogni brand ha esigenze diverse. Ogni progetto ha obiettivi diversi. Ma tutti hanno bisogno della stessa cosa: un’immagine che li rappresenti davvero.




Conclusione: l’ibrido non è un ripiego. È un passo avanti.
L’idea che il metodo ibrido sia un’alternativa “economica” alla produzione classica è un errore.
Non nasce per sostituire. Nasce per evolvere.
È un modo nuovo di pensare, costruire e controllare le immagini.
Un ponte tra creatività e strategia.
Tra estetica e concretezza.
Tra rapidità e coerenza.
Il futuro della fotografia commerciale — se vuole restare rilevante — deve saper fare entrambe le cose: evocare e funzionare.
Con questo metodo, possiamo farlo.
Con questo metodo, possiamo guidare. Non solo generare
Articolo di Giorgio Cravero