biglietto da visita
Svogliatamente alla fine si trascina in bagno, in cucina e poi a prendere l’autobus. Cinque, dieci minuti. Il suo autobus non arriva e la gente si accumula alla fermata, borbottando. In questi giorni pochi minuti di attesa sembrano eterni. Mara si avvicina alla palina degli orari e legge un foglio già sgualcito dalla pioggerellina: SCIOPERO DEI MEZZI INDETTO PER LA GIORNATA DI MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE. Ecco spiegato il motivo del ritardo, chiama l’ufficio, nessuna risposta. Eh vabbè, si giocherà l’effetto ritardo a sorpresa.
Col fiatone e il passo felpato Mara prende posto alla sua scrivania fingendosi invisibile. L’orologio sulla sua testa segna impietoso le 9:22. Bene, PC acceso, e adesso? Mara non si è ancora arresa, ogni mattina da 5 mesi a questa parte prova ancora a cliccare al primo link dei Preferiti del browser: https://www.facebook.com/. Niente. Davvero, l’ha fatto davvero Mark. Ha ucciso Facebook, così da un giorno all’altro, senza troppe cerimonie. Un bel giorno ha mandato a tutti gli utenti, oltre due miliardi di persone, un messaggio, didascalico, impersonale. Da lui, emotivo, idealista, sentimentale, non me l’aspettavo, nè io nè nessun altro.
“Ciao, con dispiacere vi annuncio che Facebook il 28 marzo 2019 chiuderà definitivamente. Purtroppo le circostanze di cui tutti siete al corrente lo impongono e nessuna altra via è percorribile.
Grazie per aver condiviso con noi una parte di te.“
E l’ha fatto. Alle ore 06.00 del 28 marzo ora italiana (le 00:00 ET), il social network più famoso del mondo ha smesso di funzionare. Kaput.
Oggi, le 10.05 del 3 dicembre, Mara fissa il computer: un foglio di word aperto, bianco, terrificante su uno schermo, il browser sull’altro, mostra il blog di un’azienda cliente. Capirete bene che la vita da social media manager non è più tanto facile per Mara. Passa le sue mattinate a disperarsi e buttare giù riflessioni pesanti e prive di interesse per i vecchi clienti, per cercare di tenerli attaccati all’agenzia, ma sa benissimo che dovrà inventarsi qualcos’altro.
Non passa molto che Angela arriva e si siede sulla sua scrivania.
– Sushi?
– Andata.
– Vengono anche Simone e Marco.
E tutto sommato la giornata pensando al pesce crudo e all’ora d’aria sembra prendere una piega buona. In ascensore i 4 hanno tutti i telefono alla mano, ma lo fissano, senza sapere che farne. In realtà Simone guarda Mara di sottecchi oltre lo schermo, è preoccupato e innamorato.
Instagram ha retto fino a giugno, poi è deceduto anche lui, incapace di accogliere i profughi di Facebook si è impallato, ha smarrito la sua personalità giovane e glamour.
Whatsapp ha resistito ancora un mesetto, ma alle ferie non è arrivato. Deserto, senza più niente da commentare, Zuckerberg ha tagliato la corrente anche a quello, prima di trasferirsi in Giappone, oggi sì l’uomo più odiato sulla faccia della terra.
Al mishi-zushi Angela chiede il solito tavolo con i divanetti comodi per godersi i 42 minuti di pausa restanti. Nigiri, hosomaki, udon e chi più ne ha più ne metta. Simone si ingozza senza pensare neanche più a Mara che fotografa ogni piatto, non riesce a perdere l’abitudine. Ha il telefono impallato di fotografie che nè lei nè nessun altro rivedranno mai. Neanche il sushi è più lo stesso. Prima da un pranzo così le uscivano fuori una decina di post diversi da qui a 3 mesi, ora spreca solo due buoni pasto per uscire affamata dimenticandosi di mangiare il cibo che fotografa.
In ufficio comunque anche se tutto sembra tranquillo, non lo è per niente. Molte sedie traballano. C’è chi, come me, cerca di inventarsi un nuovo lavoro, ma anche informarsi è diventato complicato. Una volta le cose importanti erano tutte lì, una di fila all’altra, all’infinito. Potevi scorrere e trovare qualcosa che ti catturava l’attenzione, sia che fosse una notizia o la foto del tuo ex che adesso esce con quella che odiavi, ma che ci avresti scommesso guarda.
Fortuna che gli amici, quelli ci sono sempre, anzi, anche loro si annoiano parecchio da quando non possiamo più scambiarci screen e commenti su whatsapp. L’altro giorno mi ha chiamato Sophie, che quasi nemmeno la ricordavo la sua voce, la sua erre moscia. Siamo state al telefono venti minuti. Venti minuti non so dove li avrei trovati prima, a quell’ora della sera, sarebbe stato impensabile. Lei, invece, senza facebook ci sta benone, fa l’orto tutti i sabati anche se non pubblica più le foto del raccolto. Però ha ripreso a comprare il giornale, quello cartaceo e dice che in edicola c’è pure la coda, da novembre, ovviamente.
– Come stai?
Mi ha chiesto a fine telefonata, erano anni che non le sentivo pronunciate queste parole, scandite. Non un ciaocomestaibenegrazietu?. No, sembrava le interessasse davvero, ha atteso davvero la mia risposta.
– Sai qual è la cosa più difficile? – ha risposto Mara – che non c’è più traccia di noi. Di me e Fede. Facevamo questo gioco di mandarci le foto e i video ogni secondo libero della nostra vita, ci divertivamo a taggarci, scriverci le cose in bacheca per farci prendere in giro.
– Si, voi eravate invasati con ‘sti social però.
– Ce lo ripetevano sempre. Che la nostra relazione era nata insieme a facebook. Con un poke e una richiesta di amicizia. E siamo stati insieme 10 fottuti anni. La nostra vita insieme era reale.
– Quella non te la toglie nessuno.
– Si, io quello ok, ma non posso rileggerla come faccio con il nostro diario delle medie, hai presente quello tutto colorato, ecco. Quando mi manchi mi guardo quello, un po’ rido, un po’ piango, è la nostra storia. Di lui nulla, non si è salvato nulla della nostra vita digitale insieme.
Alla fine Mara il suo posto in agenzia l’ha tenuto. Ci è voluto un po’ di tempo per cambiare, imparare a usare le parole in maniera diversa, far sedimentare le informazioni senza accatastarle, comprimerle, violentarle. Ora è un’affermata brand journalist, usa sempre le parole per fare il suo lavoro, solo su un media differente. E i clienti spesso richiedono proprio che sia lei a occuparsi della loro immagine aziendale. Non potrebbe essere più felice Mara oggi, ha un ufficio suo, non tanto perché sia diventata importante, ma perché così può conservare tutte le riviste che ha contribuito a ideare e scrivere insieme alle aziende di cui si occupa. Le tiene lì, le sfoglia quando ha voglia di toccare con mano il suo passato.
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Ok,ok. Adesso vi spieghiamo. Questo racconto è totalmente frutto della nostra fantasia. Ma non ci siamo dati alla narrativa. Quello che volevamo fare era in realtà proporvi una piccola riflessione su cosa accadrebbe se i social tutt’a un tratto…morissero. Senza preavviso, senza cerimonie. In fondo il rischio con il caso Cambridge Analytics lo abbiamo sfiorato e forse più di quanto noi stessi ci fossimo resi conto. Questo breve racconto vuole far riflettere anche tutte quelle persone che hanno sviluppato un’avversione nei confronti dei social e talvolta dei media in generale, non rendendosi conto però di quanto siano ormai parte intrinseca della nostra quotidianità.
Si starebbe meglio senza, si starebbe peggio? Noi, pur essendo molto di parte visto il mestiere che facciamo, non abbiamo una risposta, siamo convinti che saremmo in ogni caso in grado di adattarci. La comunicazione è uno state of mind, qualsiasi mezzo è buono se si ha qualcosa da dire.