Quando la tecnologia anticipa il marketing, il rischio è quello di arrivare sul mercato impreparati. Esattamente cosa è successo con la SCO nella grande distribuzione.
Non so voi, ma io quando vado al supermercato, quelle rare volte, ho il terrore. Riesco ad andare chiaramente solo il sabato pomeriggio o all’uscita dall’ufficio, insomma il classico orario in cui le corsie sono strapiene, figuriamoci le casse. Fortunatamente la tecnologia ci viene incontro e molte catene hanno introdotto la tecnologia SCO, cioè Self scan check-out. Per intenderci le casse automatiche, oppure, ancora meglio, il terminale per scannerizzare la merce man mano che viene introdotta nel carrello; così a fine spesa non rimane che pagare e correre a casa per cena. Si, ma. Io, per esempio, vivo la spesa con l’ansia. Sistemo il mio terminale al carrello, scannerizzo con attenzione tutto, sbaglio, allora tolgo, attendo la risposta del terminale che a volte è decisamente poco agile, riprendo la mia gita tra le corsie. Poi arrivo al momento di pagare e….tac. Scatta il controllo carrello. E anche lì, sudo. Non che io sia una dedita ai furtarelli per carità, ma è praticamente impossibile che non si verifichi qualche incongruenza, magari hai passato 8 confezioni di pasta e non 9, per una banale distrazione. E poi son lì che metto la roba sul nastro e penso, “Ma che diavolo lo mettono a fare il terminale SCO se poi controllano quasi ogni carrello?”.
Con questa domanda in cima al carrello della spesa torno a casa, mi informo un po’ e svelo l’arcano. Questa tecnologia di self check-out non sta dando i frutti sperati, non ancora almeno. A detta della ricerca Self-Checkout in Retail: Measuring the Loss condotta da ECR Community Shrinkage and On – Shelf Availability Group, supportata da Checkpoint Systems, risulta che i punti vendita dove il 55-60% di transazioni avvengono tramite tecnologie SCO registrano il 31% in più di differenze inventariali. Cifre non da poco! E non si tratta sempre di errori di distrazione. Ovviamente c’è anche un briciolo di malizia in qualche avventore che spera di farla franca. In realtà i controlli ci sono e sono massicci. L’altro giorno mi trovavo, appunto, in un punto vendita di una grossa catena di supermercati e di fronte ad un’anziana coppia indispettita per il controllo del carrello, la cassiera spiegava: “se fate la spesa solo una volta al mese con il sistema SCO, la prassi è il controllo del carrello”. Allora mi sono chiesta a cosa serva tutta questa automazione se alla fine della fiera i controlli avvengono su un’altissima percentuale di carrelli. E il risultato? Perdite dovute a furti, distrazioni e quant’altro. Insomma, non un grande affare sembrerebbe!
Eppure l’automazione nel campo della GDO potrebbe essere un ottimo investimento. Il tempo è prezioso, lo sappiamo bene. Cosa non ha funzionato allora? Probabilmente la tecnologia è arrivata prima del marketing e della pianificazione strategica. Corre veloce la tecnologia, ma se usata o gettata sul terreno sbagliato e non adeguatamente pronto ad accoglierne il seme, non solo può essere poco produttiva, ma addirittura dannosa.
Quello che serve è una buona campagna informativa sulle possibilità esistenti, in modo che i clienti possano sfruttarle al meglio, ma anche una buona educazione per un utilizzo corretto dei terminali di self check-out. Infine anche dal punto di vista tecnologico, non siamo ancora arrivati, strada da fare ce n’è. I terminali hanno software spesso lenti, che stufano o che facilitano la “dimenticanza” nello scannerizzare un articolo, le batterie a volte non sono adeguate. Tipo, scannerizzi circa 120 articoli, ti dirigi fiero verso la cassa automatica per pagare tutto quel ben di dio e… il terminale si spegne. Batteria scarica. Tutto da rifare. E ti avvii tristemente verso l’infinita coda dell’unica cassa aperta, dove ad aspettarti alla fine dell’interminabile attesa ci sarà una cassiera esausta che non va in bagno da circa 8 ore. Insomma, la prossima volta la spesa la farei online.