A Natale puoi (essere sincero). O almeno provarci.

Articolo di Alessandro Villa

Giovedì prossimo è Natale. Siamo tutti più buoni. O almeno così ci ricorda una famosa pubblicità: “A Natale puoi…”.
Eppure, dentro questo buonismo stagionale, mi sono imbattuto in un paio di post molto lontani dal tono patinato dei social. Soprattutto dal tono ancora più patinato del social-business per eccellenza: LinkedIn.

Questo articolo nasce da lì. Da una dinamica perfetta, quasi da manuale: un terzo livello pubblica un post, un secondo livello commenta, una mia connessione interagisce, e all’improvviso quel contenuto arriva sulla mia bacheca.

Tutto fluido, tutto organico. Senza trucchi, senza acchiappa-reach, senza hack di engagement. LinkedIn, per una volta, ha fatto esattamente ciò per cui è stato pensato.

Il problema non era il come. Era il cosa.

“Devo trovare un LAVORO.”

La crisi sta mordendo ovunque, e lo fa in maniera democratica. Il post che ho letto è firmato da Jean Jacques Canaby, per me un perfetto sconosciuto fino a due giorni fa, e tra le tante parole ecco:

“Sarò onesto. Non posso più recitare. Devo trovare un LAVORO. La vergogna di non poter pagare una bolletta diventa un peso che stanca l’anima. Quella vita esiste. L’ho vista. Eppure, nessuno ne parla.”
“Non ho mai smesso di combattere. Non sono ‘atipico’. Non sono spaventoso. Sono solo qualcuno che vuole lavorare e che viene lasciato ai margini.”
“E la domanda che mi pongo, la più violenta: Sto ancora contando?
“Sono mobile in tutta la Francia. Sono aperto. Sono disponibile. Sono motivato. Sono pronto. Se puoi condividere questo post, orientarmi, mandarmi un messaggio… Grazie. Perché sono esausto. E ho bisogno che questo cambi.”

Mi ha inchiodato davanti allo schermo. Non tanto per il contenuto — purtroppo la precarietà non è una novità — ma per la sua nuda verità. E per i commenti: persone che parlano apertamente di accettare lavori nei call center o nelle pulizie “per coprire le spese”.

Non era un post acchiappa-like natalizio. Era realtà. E non era la prima volta che ne vedevo uno.

La domanda che brucia: “Sto ancora contando?”

Perché mi ha colpito così tanto? Perché questa è una domanda che, senza vergogna, ci facciamo anche noi.

Non sempre, ma a volte sì. A volte basta una fattura in ritardo e devi immettere capitale per far girare la macchina. A volte ti ritrovi a chiederti: “Sto ancora contando?”

E questo non è un post di lamentele. Non è una richiesta di aiuto. Non è un esercizio di buonismo travestito da storytelling natalizio.

È un tentativo di essere onesti, anche quando non conviene. Anche quando il contesto ti suggerisce di mostrare solo il lato brillante.

Il mondo glitterato che non racconta le crepe

LinkedIn si è trasformato in un mondo parallelo in cui:

  • tutti fatturano fantatrilioni di Lire Libanesi;
  • tutti sono “iper-performanti”;
  • l’AI farà tutto il lavoro mentre noi sorseggeremo drink su spiagge perfette (generate da Midjourney);
  • il successo sembra essere una condizione naturale, non un evento.

E mentre questa narrazione procede indisturbata, cresce il numero di persone che non arrivano a fine mese. Non lamentano tasse, clienti o burocrazia: lamentano la fatica di vivere.

Questa è la parte che non si dice.

Il coraggio di lasciare andare (e di dirlo)

Nel suo articolo di venerdì, Isabella Bombagi ci ha scritto:

“Cosa scelgo di non portare con me? Alla fine, ciò che lasciamo andare definisce quanto potremo costruire. E il nuovo anno non ci chiede di essere diversi, ma di essere più lucidi nel decidere cosa vale la pena tenere – e cosa no.”

Ecco, se devo scegliere un desiderio natalizio, vorrei questo: un po’ più di coraggio da parte di tutti nel raccontare la fatica. Non per lamentarsi, ma per riconoscersi.

Non c’è nulla di sbagliato nel sentirsi ai margini. Nel convivere con la sindrome dell’impostore. Nel chiedersi (anche a metà mattina, anche a metà vita): “Ma chi me lo fa fare?”

E se LinkedIn tornasse a essere un luogo vero?

Forse chiedo troppo a Babbo Natale. O forse no.

Forse LinkedIn potrebbe — o meglio, dovrebbe — tornare a essere un luogo in cui:

  • professionisti e aziende si incontrano,
  • si parlano senza filtri,
  • si raccontano successi e cadute,
  • la vulnerabilità non è un disvalore.

Perché finché ci limitiamo a mostrare solo il lato luminoso, perdiamo la parte più importante: quella che ci rende umani, e quindi credibili.

E se c’è un momento dell’anno per ricordarlo, è proprio questo.

p.s. in bocca al lupo https://www.linkedin.com/in/jeanjacquescanaby/ per il tuo 2026. Per quanto possibile abbiamo cercato di dare più visibilità alla tua richiesta. Stai ancora contando!

Articolo di Alessandro Villa

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