In questo periodo, ovunque ci si giri, si parla solo di Intelligenza Artificiale (AI). È diventato impossibile ignorarla. Cambi piattaforma, leggi articoli, scrolli i feed di LinkedIn o apri l’ennesimo blog sul marketing digitale e il messaggio è sempre lo stesso: se non ti adegui, ti estingui.
Questa frase mi ha fatto tornare in mente un episodio raccontato anni fa da Alessandro, quando partecipò a un convegno di Confindustria e distribuì ai presenti dei piccoli tirannosauri con il messaggio “chi non si evolve, si estingue“. Un gesto provocatorio, certo, ma efficace. Oggi, quella frase sembra ancora più vera, sebbene in un contesto diverso.
L’AI come strumento, non come minaccia
Il bombardamento di notizie e opinioni sull’AI spesso ci porta a pensare che sia una minaccia incombente, una tecnologia destinata a sostituirci. Ma quando ci siamo fermati a discuterne, ci siamo resi conto che non è lo strumento in sé a fare la differenza, ma l’uso che ne fa l’uomo.
Come diciamo spesso ai nostri clienti, oggi un’azienda ha possibilità e canali che quarant’anni fa erano impensabili. Se un tempo il business era legato al territorio – si vendeva nella valle accanto – oggi le barriere geografiche sono quasi scomparse. Ed è proprio in questo contesto che l’AI può fare la differenza, aumentando in modo esponenziale le possibilità di entrare in contatto con persone, clienti, partner.
Il valore nascosto nei chatbot AI e nei nuovi touchpoint
Prendiamo ad esempio i tanto chiacchierati chatbot. Spesso sono presentati come strumenti per automatizzare, ridurre, eliminare. Ma il loro vero potenziale non è nella sostituzione, bensì nell’espansione.
Un chatbot ben costruito non è un rimpiazzo del customer care, ma una porta d’ingresso verso nuovi percorsi d’acquisto, un touchpoint sempre attivo, sempre disponibile, che può moltiplicare i contatti e le opportunità.
Lo stesso vale per le interazioni mediate da AI: più conversazioni, più dati, più occasioni per comprendere bisogni e costruire relazioni. L’intelligenza artificiale, insomma, non è un nemico del lavoro umano, ma un suo alleato strategico.
Una rivoluzione che ricorda le precedenti
Trent’anni fa nessuno immaginava di lavorare “in cloud”, senza linea fissa, con strumenti che ci seguono ovunque. La digitalizzazione ha trasformato radicalmente i processi lavorativi, ma non ha cancellato il lavoro, lo ha reso diverso, più dinamico, più flessibile. Lo stesso succederà con l’intelligenza artificiale.
Certo, alcuni ruoli cambieranno, alcune competenze diventeranno obsolete, ma altre emergeranno, nuove professioni nasceranno e nuove forme di collaborazione si affermeranno. Pensare che l’AI distrugga tutto è una visione miope: è un cambiamento, non un’apocalisse.
Evolversi non è una scelta, è una condizione
Alla fine, chi dice che “se non ti evolvi, ti estingui” ha ragione. Non tanto per via dell’AI, ma perché la vita è fatta così. Tutto cambia, e noi dobbiamo cambiare con lei. Il punto vero, semmai, è scegliere come cambiare: in modo passivo, subendo il progresso, o in modo attivo, governandolo.
L’AI non è il fine, è un mezzo. Un’opportunità per lavorare meglio, per costruire valore, per raggiungere più persone. Ma rimane l’uomo – con le sue idee, intuizioni e capacità – a guidare la direzione.
Conclusione
Il vero nodo, dunque, non è AI-centric o human-centric. È capire che l’evoluzione passa da entrambi: serve una tecnologia intelligente, ma serve soprattutto una mente umana capace di utilizzarla con visione e responsabilità.
Come sempre, non è la macchina a definire il nostro futuro, ma quello che decidiamo di farne.
Articolo di Alessandro Villa