Quando due mesi fa ci siamo lasciati, ogni pensiero era rivolto alla pausa estiva, al meritato riposo, a quel momento in cui tutti noi andiamo da qualche parte a ricaricare le batterie dopo un lungo anno di lavoro.
In realtà, nessuno di noi ha mai la totale percezione di quanto tutto il nostro affannarci su questa terra sia solo una parentesi assolutamente temporale.
Come cantava De André nel lontanissimo 1966:
“Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio
Ninetta bella, dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno.”
Purtroppo, come ci ha insegnato Piero nella sua canzone, il momento in cui questa parentesi finisce non ci è dato conoscerlo. E non c’è stagione migliore o peggiore per lasciare tutto e andarsene via.
In questo lungo agosto e inizio settembre ho, ahimè, imparato che la nostra cultura e civiltà, per quanto evoluta, ricca e unica, non ci ha insegnato a gestire la conclusione più naturale che la nascita impone: la morte.
Tutti sappiamo che prima o poi ci sfiorerà, ma nessuno ha mai il coraggio di guardare l’evento come inesorabile. E così, ogni volta, ci sorprende totalmente impreparati.
Ovviamente qui dentro non voglio parlare dei miei dolori, dei miei lutti, della mia enorme e unica perdita.
Questo è un social di business. E quindi, anche se la testa continua ad essere completamente in balia di mille pensieri, bisogna ripartire. Lo show deve andare avanti.
E per vivere, bisogna lavorare.
Ma questo non significa che da questa esperienza non voglia trarre insegnamenti utili anche per il lavoro.
Il primo insegnamento è che, nonostante tutti gli avvertimenti, tutte le total body andate male, se non malissimo, la speranza non muore mai. O forse muore solo poco prima dell’ultimo battito cardiaco.
La speranza c’è anche dentro un hospice, anche nel mezzo di un coma farmacologico.
Siamo programmati per sperare, per credere in un futuro migliore.
Il secondo insegnamento è che nei momenti del bisogno e della fatica scopri veramente chi ti è vicino e chi ti era vicino solo per apparenza o convenienza.
Avrei fatto volentieri a meno di queste tremende settimane, ma se c’è una cosa che mi porto via è una rubrica completamente rivoluzionata — sia in entrata che in uscita.
Quelli che oggi considero contatti veri, persone vere, sono quelle su cui posso contare al 100%.
E poi ci sono le emozioni.
Esci dall’ospedale distrutto dal dolore e il mondo attorno si prepara al primo aperitivo post ferie.
Tu non sei nemmeno in grado di respirare, mentre gli altri si divertono come se nulla fosse successo.
Quante volte, in passato, sono passato accanto a qualcuno distrutto nel suo animo, mentre io correvo a prendere un aperitivo?
Tante.
E infine il tempo.
Quando ti danno una diagnosi oncologica, tutto ruota attorno ai tempi.
Le total body pianificate a trimestre, le chemio a ciclo 1, 8, 21… tutto diventa numero. Tutto è contare il tempo.
Poi arriva il disastro. E il tempo cambia.
Cambia il modo di scorrere, di essere vissuto.
I mesi diventano giorni, i giorni diventano ore, le ore diventano minuti.
E in tutto questo, impari anche la fiducia. Dal primo esame di controllo dei marker fino a quando esci dalla chiesa, ti trovi a riporre fiducia totale in chi, di queste cose, è tristemente abituato a occuparsene.
Mi sono trovato più volte a portare tutto questo anche nel mio mondo lavorativo.
Quello personale è solo mio.
Ma se la vita ti impone una dura lezione, perché non portarla nel lavoro, e farne qualcosa di utile?




Tempo.
Punti di vista.
Valore delle persone.
Speranza.
Fiducia.
Un cocktail perfetto per guidare qualsiasi azienda, qualsiasi business.
imparare a dare il giusto tempo a ogni azione,
prestare attenzione a tutti i punti di vista,
valutare con attenzione i tuoi compagni di viaggio,
vedere chi ti resta accanto quando le cose vanno male.
Avere sempre speranza in ciò che verrà,
e saper riporre fiducia in chi ne sa più di te.
Da domani ci ritroverete con i nostri contributi, come se non fosse successo nulla.
Qualcosa è successo. Ma la vita è questa.
Vivi l’oggi, perché del domani non c’è certezza.
p.s. ciao Monica!
Articolo di Alessandro Chiavacci