Due giorni fa ho avuto il piacere di partecipare come relatore a un evento di networking organizzato da InLire e Net&Group al Circolo dei Ronchiverdi di Torino. Una serata pensata per far incontrare imprenditori, scambiarsi contatti, raccontarsi. Uno di quegli appuntamenti in cui, oltre ai brindisi e ai biglietti da visita, c’è spazio per dire davvero chi sei e cosa fai. Ed è proprio questo che ho provato a fare durante lo speech riservato a Dreamers Agency, intitolato “Dall’idea alla community: quando il brand diventa esperienza condivisa”.
Costruire pubblico, non rincorrerlo
Quando ci hanno comunicato il titolo del mio intervento, ho sorriso. Perché coincideva perfettamente con il modo in cui stiamo raccontando oggi Dreamers, e con ciò che proponiamo ai nostri clienti. Per introdurre il tema ho voluto condividere una frase di Jago, scultore tra i più affermati della scena contemporanea, che in un’intervista ha detto:
“Il tuo pubblico non lo trovi. Lo costruisci. Un contenuto alla volta.”
Credo che in questa citazione ci sia un pezzo importante della trasformazione che la comunicazione aziendale sta attraversando. Per anni si è pensato che bastasse intercettare un pubblico: lanciare messaggi, investire in visibilità, essere ovunque. Oggi non basta più. Non si può più cercare il proprio pubblico: bisogna costruirlo.
E costruirlo significa partire da una narrazione coerente, che racconti davvero chi sei, cosa fai, perché lo fai e come lo fai. È attorno a questa narrazione che nasce una community. E la community, nel tempo, diventa una leva strategica: un luogo in cui si generano relazioni vere, dove i valori condivisi trasformano l’interesse in fiducia e la fiducia in business.
Il valore del racconto nel B2B
Nel mio intervento ho voluto sottolineare un aspetto spesso sottovalutato: le dinamiche del B2B non sono le stesse del B2C. Se nel consumer marketing vincono la velocità, i numeri, le emozioni semplici, nel B2B è necessario approfondire, spiegare, dimostrare. È il valore che guida la scelta, non la pubblicità.
Per questo il brand oggi non è più solo logo, font o payoff. È un racconto vivo, fatto di esperienze, di soluzioni concrete, di contenuti capaci di testimoniare competenza. Con il nostro Dreamers Editorial Hub aiutiamo le aziende a fare esattamente questo: trasformare il proprio sapere in contenuti capaci di generare connessioni. Non per vendere direttamente, ma per costruire relazioni vere e durature.
Alla fine, non serve comunicare a tutti. Serve comunicare alle persone giuste. E quando smetti di cercare il pubblico e inizi a costruirlo, contenuto dopo contenuto, quelle persone iniziano davvero ad ascoltarti. Ti raccontano, ti scelgono e ti fanno scegliere.




Quando la parola incontra il mercato
Ciò che mi ha colpito di più, oltre al contesto stimolante dell’evento, è stata la reazione della platea. Dopo l’applauso di rito, durante la fase di networking, in tanti sono venuti a cercarmi per approfondire ciò che avevo appena condiviso. Alcuni con curiosità, altri con proposte, altri ancora per continuare la conversazione iniziata sul palco.
Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con Gabriele De Florio di Clavis Marketing, che ha deciso di iniziare a lavorare con noi; con lo staff di InLire per una possibile collaborazione; con Nicola Palmisano di Net&Group, che mi ha raccontato il potenziale della sua community; con Paolo Moretto, che spero diventi una delle voci di Dreamers; con Marco Ferro, con cui mi piacerebbe aprire un dialogo sulle neuroscienze; e con Giuseppe Scapola di Startive, con cui ho condiviso una riflessione commerciale interessante.
Conclusione: quando le idee si mettono alla prova
Eventi come questo sono fondamentali per chi, come noi, lavora ogni giorno per trasformare le proprie idee in valore per gli altri. Sono banchi di prova: momenti in cui si capisce se ciò che diciamo è davvero utile e rilevante o se è solo l’ennesimo tentativo di distinguersi nel mondo del marketing.
Il “taste of the market” di ieri sera è stato più che positivo. Ci ha dato conferme, ma anche nuove sfide. E ci ha ricordato, una volta di più, perché facciamo quello che facciamo: perché “Scripta manent”, sì. Ma solo se le parole servono davvero a costruire connessioni.
Articolo di Alessandro Villa