Il ritorno dell’immagine: comunicare meno, comunicare meglio

In un articolo recente, Alessandro Villa rifletteva sul ruolo delle insegne medievali come forma primitiva di branding. Simboli visivi che raccontavano mestiere, identità, appartenenza.
Una botte rossa, un gallo, una stella: nessuna parola scritta, ma un messaggio chiaro per tutti, anche per chi non sapeva leggere.

Quella riflessione mi è tornata in mente mentre svuotavo i cassetti di una casa, trovandomi per le mani un’intera enciclopedia di libretti di istruzioni. Un archivio cartaceo di venticinque anni di vita domestica.
Un frigorifero, una macchina del caffè, un decoder, una stufetta: ogni oggetto con il suo tomo, alto due dita, stampato in 20 lingue e impaginato in corpo 6.
Parole, parole, parole.

Poi, l’improvvisa interruzione del pattern: il manuale di un purificatore Dyson.
Nove pagine.
Un font leggibile.
Due righe per funzione.
Un’icona. Un’immagine. Stop.
Dove prima c’erano venti paragrafi, ora c’è un diagramma essenziale, con il tasto evidenziato, un verbo d’azione e un suggerimento per approfondire.

Mi è venuto da sorridere.
Siamo tornati alle insegne, ma stavolta sono schemi e simboli.
Non perché siamo più ignoranti (forse!), ma perché siamo più pieni. Più saturi di stimoli, di parole, di notifiche. E quindi, abbiamo meno spazio cognitivo per decodificare.

L’illusione della complessità

Per anni ci siamo raccontati che “più era meglio”.
Più informazioni, più dettagli, più istruzioni.
Ma oggi la moltiplicazione delle parole non chiarisce, confonde.
Non guida, frustra.

Ecco perché il design informativo moderno ha imboccato una strada diversa.
Minimalismo funzionale, immagini immediate, interfacce intuitive.
Un percorso accelerato da due tendenze convergenti:

  • la multiculturalità, che ha reso l’immagine più universale della parola
  • l’urgenza, che ha ridotto la nostra soglia di attenzione

Quando un disegno vale più di mille disclaimer

Se prendi il libretto di un ventilatore degli anni 2000, ti racconta per pagine intere come usare il telecomando.
Se apri oggi quello della Dyson, ti basta uno sguardo.

E non è solo una questione di linguaggio: è una questione culturale.

Un ferro da stiro non ha bisogno di un paragrafo in sedici lingue per spiegare che brucia.
Basta un’icona. Una mano, un simbolo, un triangolo rosso. Il cervello capisce. Il messaggio arriva.

Non è solo efficienza: è cura dell’attenzione.

Stiamo tornando al medioevo?

No. Ma forse sì, in senso buono.

Stiamo tornando a una comunicazione che privilegia l’efficacia sullo stile, l’utilità sull’esaustività.
Non rinunciamo al testo. Ma lo facciamo parlare solo quando serve davvero.
Per tutto il resto, ci affidiamo all’immagine. Alla visualizzazione. Alla forma più rapida per capire, decidere, agire.

È una regressione?
No, è una nuova forma di sintesi.
Non meno cultura. Solo più filtro.

L’immagine è tornata al centro

Come nel medioevo, ma con strumenti nuovi.
Oggi le insegne sono icone di app, simboli UX, visual prompt, diagrammi.
Non ci chiedono di leggere: ci chiedono di riconoscere.

E se è vero che il tempo è la nuova valuta, allora ogni parola di troppo è un costo.
E ogni immagine efficace è un investimento ben speso.

Quando ero ragazzino Qui Quo e Qua leggevano il Manuale delle Giovani Marmotte per risolvere qualsiasi problema. Oggi un prompt rapidissimo e il risultato è dato.

Dopo anni di “more is better” il mondo della comunicazione pare stia scivolando sempre più rapidamente sul “less is better”.  A proposito, ChatGPT riassumi questo articolo in un pensierino di 80 battute. Grazie!

Riassunto in 80 battute:
Torniamo all’immagine: comunicare meno per dire (e capire) molto di più.Il mio personale riassunto in 7 battute:
OMG !!!

Articolo di di Alessandro Chiavacci

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