LinkedIn e la fine della “reach”. Spoiler : la “reach” non è mai stata tua.
Per anni ho visto agenzie, consulenti e aziende inseguire ossessivamente la reach. Una parola ambigua, presa in prestito dal vocabolario dei media broadcasting e trapiantata, senza troppe domande, nell’universo dei social.
L’idea era semplice: parlo e voglio raggiungere tutti. O meglio, voglio parlare a chi non mi conosce, ampliare il mio pubblico, aumentare l’esposizione.
Con il tempo, tutti i social si sono trasformati in televisioni rumorose, feed ingolfati di contenuti, tentativi disperati di attirare l’attenzione per pochi istanti. E proprio in quel caos, LinkedIn è sembrato per un po’ un’isola felice. Il social “dei professionisti”, più sobrio, più verticale, più… strategico.
E quindi, come sempre accade nel marketing, si è diffusa la voce dell’ennesimo growth hack: su LinkedIn potevi aumentare la reach anche con una rete ridotta.
Bastava usare bene il comment baiting, spingere contenuti provocatori, polarizzanti, capaci di generare una catena di interazioni. Una persona commenta → il suo network lo vede → qualcun altro commenta → la reach esplode.
Anche con 1000 contatti silenziosi, un post costruito bene poteva raggiungere decine di migliaia di persone. Una magia algoritmica.
Peccato che, come tutti i trucchetti, anche questo sia invecchiato in fretta. Anzi: è durato già troppo. LinkedIn ha deciso di cambiare le regole del gioco. Da febbraio, è entrato in scena un nuovo framework chiamato 360° Brew Model.
Ed è qui che comincia la parte interessante.
Non sei un creator, sei un professionista
In queste settimane ho letto decine di post e newsletter che spiegavano come “i creator” su LinkedIn dovrebbero adattarsi al nuovo algoritmo. Ma fermiamoci un attimo.
La verità?
Su LinkedIn non esistono content creator come su TikTok o Instagram. Su LinkedIn esistono professionisti che usano contenuti per condividere competenza, visione, esperienza.
Io, per esempio, non sono un creator. Io scrivo di marketing perché ci lavoro da trent’anni.
Non faccio contenuti per intrattenere, ma per far riflettere, per aprire conversazioni con chi condivide (o mette in discussione) ciò che faccio.
Ecco perché la seconda riflessione è ancora più importante:
l’algoritmo di LinkedIn sei tu.
Sì, hai letto bene.
LinkedIn non decide chi entra nella tua rete. Tu inviti. Tu costruisci connessioni. Ma non controlli chi accetta. E non puoi prevedere quali dinamiche di relazione scaturiranno da lì.
È una rete relazionale. Fatto di esseri umani, con i loro tempi, i loro umori, la loro simpatia o antipatia. E quindi, se sei entrato in LinkedIn pensando che fosse un megafono, forse ti conviene risintonizzarti.
La tua reach non nasce da un algoritmo.
Nasce dalla qualità della tua rete.
Più relazioni vere, pertinenti, attive costruisci, più i tuoi contenuti si diffonderanno.
Più spammi, forzi, insegui scorciatoie, più LinkedIn ti farà sedere in panchina.




LinkedIn cambia pelle: ecco il 360° Brew Model
Dal punto di vista tecnico, LinkedIn ha ufficializzato un cambiamento strutturale nel modo in cui i contenuti vengono distribuiti e premiati. Il nuovo 360° Brew Model si basa su sei fattori chiave:
1. Creator Strength
La tua forza come autore non dipende da quanto pubblichi, ma dalla qualità e dalla costanza.
Contano la pertinenza, la capacità di innescare dialoghi reali, la profondità del contenuto.
In altre parole: meglio un post pensato bene alla settimana che cinque post improvvisati.
2. Audience Fit
I tuoi contenuti devono essere rilevanti per la tua rete.
LinkedIn oggi favorisce contenuti verticali, specifici, pensati per il pubblico che hai costruito.
Se parli a tutti, non parli a nessuno.
3. Content Quality
Come si misura la qualità? Con una serie di segnali:
- Tempo di lettura: se le persone scorrono via in un secondo, il post è penalizzato.
- Commenti autentici > like passivi.
- Salvataggi e condivisioni sono un forte indicatore di valore.
Inoltre, la forma conta: scrivi in modo leggibile, ordinato, fluido, e che invogli a rispondere.
4. Content Engagement
Conta l’engagement, ma quello vero.
Non solo like e reactions, ma conversazioni di senso.
Chi commenta? Cosa dice? Ci sono risposte? Si genera un dialogo? LinkedIn guarda tutto questo con attenzione.
5. Creator Engagement
Se pensavi di poter pubblicare e sparire, ripensaci.
Oggi LinkedIn premia chi partecipa attivamente alla vita del feed.
Commenti, risposte, menzioni, interazioni: è tutto parte della tua “forza” nel network.
Chi sostiene, viene sostenuto.
6. User Experience
Ultimo, ma non meno importante: quanto il tuo contenuto migliora l’esperienza complessiva su LinkedIn?
Un contenuto che fa pensare, ispira, insegna qualcosa o apre un dialogo arricchisce la piattaforma.
E quindi viene spinto. Anche se non ha milioni di views.
Cosa succede ora (e come possiamo agire)
Tutto questo ci dice una cosa semplice ma potente:
la stagione delle vanity metrics è finita.
La rincorsa a like, views e viralità generica non ha più senso.
Ciò che conta è:
- Costruire una voce chiara e riconoscibile
- Portare valore reale alla rete che hai costruito
- Stimolare dialoghi autentici, non commenti di circostanza
- Interagire con generosità e intelligenza
Chi comunica bene su LinkedIn non è quello che “funziona”, ma quello che costruisce fiducia nel tempo.
Chi è utile. Chi è presente. Chi è coerente.
Una sfida per pochi (ma proprio per questo utile)
Questo nuovo modello è più sofisticato, più difficile da “ingannare”, ma anche più equo. Premia le relazioni, la qualità, la costanza. E chi lavora nel marketing, nella comunicazione, nella consulenza B2B ha oggi una grande opportunità: uscire dal rumore e costruire vera autorevolezza.Perché sì, l’algoritmo cambia. Ma la fiducia resta la metrica più importante di tutte. E LinkedIn, per come è strutturato ora, ci sta semplicemente dicendo: “Vuoi essere ascoltato? Comincia ad ascoltare.”
Articolo di Alessandro Chiavacci