Parlare non basta. Serve una direzione.

L’importanza (strategica) del piano editoriale

Negli ultimi giorni, mi è capitato spesso di tornare su un tema che sembra banale, ma che invece è fondamentale: l’importanza di un piano editoriale coerente con la propria strategia.
E sottolineo: con la propria strategia. Perché il piano editoriale non è una tabella di Excel con le date delle pubblicazioni. È un’estensione del modo in cui l’azienda (o il professionista) vuole comunicare chi è, cosa fa, e perché qualcuno dovrebbe sceglierlo.

Sempre più aziende hanno capito che oggi è necessario essere presenti su canali professionali, come LinkedIn. Ma il problema non è esserci: è come esserci. Il rischio, concreto, è quello di portare su LinkedIn lo stesso approccio adottato su TikTok o Meta: contenuti generici, iper-personali, fatti per “fare rumore” più che per costruire valore.
Il risultato? Una comunicazione che salta da un tema all’altro, inseguendo il trend del giorno, senza una direzione chiara.

L’illusione del rumore

L’algoritmo premia l’engagement. Lo sappiamo.
Anche LinkedIn, oggi, funziona (in parte) come i suoi cugini social: più commenti e interazioni ricevi, più il tuo contenuto si diffonde. E allora giù post su qualsiasi argomento, dalle guerre alle manifestazioni, dai temi politici al gossip aziendale.
È il trionfo del broadcasting generalista, dove tutti parlano di tutto — e quasi nessuno si ferma a chiedersi: di cosa parla davvero il mio profilo?

Sì, l’engagement cresce. Ma a che prezzo?

La reputazione è una strategia di lungo periodo

Nell’era iperconnessa e iper-mediale, parlare non è più sufficiente.
Il punto non è quanto parli. Ma di cosa parli.
E soprattutto: a chi stai parlando?

Una comunicazione erratica, che passa dal calcio alla politica, da un meme a un commento sulle notizie del giorno, può funzionare nell’immediato — ma nel tempo rischia di erodere la tua credibilità.
Perché l’engagement è una metrica volatile.
La reputazione, invece, è ciò che ti costruisci nel tempo, restando coerente con ciò che sei.

Chi ti legge deve sapere cosa aspettarsi da te. E deve poter scegliere di seguirti per ciò che rappresenti, non per ciò che urla più forte oggi.

Il piano editoriale non è un calendario

Il piano editoriale è una bussola.
Serve a stabilire una direzione.
Non si tratta (solo) di decidere quando pubblicare, ma di cosa scegliere di raccontare. E, ancor più importante, di cosa scegliere di non raccontare.

Un buon piano editoriale parte da qui:

  • Quali sono i temi che ci rappresentano?
  • Quali argomenti aiutano il nostro pubblico a conoscerci meglio, a fidarsi, a scegliere?
  • Quali conversazioni vogliamo evitare, anche se potrebbero darci visibilità?

Questo è il lavoro che va fatto all’inizio del mese, o del trimestre. Non sappiamo ancora quali contenuti esatti produrremo, ma abbiamo chiaro l’universo tematico in cui ci muoveremo. E soprattutto abbiamo scelto di non rincorrere tutto.

Una scelta di posizionamento

Costruire un piano editoriale non è solo un esercizio di organizzazione.
È una scelta di posizionamento.
Significa decidere ogni volta se vuoi essere uno dei tanti che parlano per esserci, o uno di quelli che usano la comunicazione per raccontare davvero chi sono, cosa fanno, e perché lo fanno.

Nel rumore costante dei social, essere riconoscibili è molto più potente che essere visibili.

Articolo di Alessandro Chiavacci

Condividi:

Seguici per rimanere aggiornato

Ecco alcuni titoli della stesssa categoria.

contatta l'Autore