Neuroscienze e marketing, moda o struttura

Con questo articolo voglio iniziare a introdurre un argomento che sta diventando adesso una moda, almeno nella quantità di contenuti, ma che non è una vera novità. Il Neuromarketing. Frequentando tutti i vari canali social trovo costantemente accenni, post, video e introduzioni che parlano di neuroscienza e neuromarketing. La sensazione però è che molti si stiamo solo riempiendo la bocca.

Per questo voglio iniziare a parlare di cosa significa per me, e per noi, il neuromarketing, cosa vuol dire applicare tecniche e modalità neuroscientifiche alla comunicazione e al marketing. 

Quindi perdonate se ci saranno, in questo primo capitolo, delle spiegazioni o definizioni forse risapute, e che farò un focus un po’ importante su una componente più etica di queste pratiche. 

Buona lettura.

Neuromarketing: L’integrazione delle Neuroscienze nel Marketing

Il neuromarketing rappresenta la fusione tra le neuroscienze e il marketing, una disciplina che sfrutta la conoscenza dei processi cerebrali per comprendere e influenzare i comportamenti di consumo. Sebbene il marketing tradizionale abbia sempre cercato di attrarre il consumatore attraverso messaggi visivi, testuali e emotivi, l’introduzione delle neuroscienze ha permesso ai professionisti di ottenere un livello di comprensione più profondo e scientificamente supportato sui meccanismi che guidano le decisioni di acquisto. La neuroscienza applicata al marketing non è una novità, anzi ne troviamo accenni nella PNL, nella scelta di hook visivi e testuali su outdoor già nella prima metà del secolo scorso, l’approccio, oggi, si sta consolidando come una strategia fondamentale per ottimizzare le campagne pubblicitarie.

Nel contesto del neuromarketing, non tutti gli strumenti neuroscientifici sono utilizzabili nella pratica quotidiana delle aziende. Quando cerchiamo informazioni sul neuromarketing e andiamo a leggere articoli o post troviamo sempre riferimenti a tecniche avanzate come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalogramma (EEG) che sono senza dubbio, strumenti di ricerca molto potenti, ma il loro uso è generalmente limitato a studi scientifici e progetti di ricerca con campioni di consumatori ristretti e non sono accessibili a tutte le realtà aziendali, data la loro complessità e i costi elevati. Questi strumenti misurano le risposte del cervello a determinati stimoli, consentendo di osservare l’attività cerebrale in tempo reale e determinare quali aree si attivano durante l’esposizione a determinati messaggi o immagini. Sebbene questi test possano essere affascinanti e utili in contesti di ricerca avanzata, le piccole e medie imprese difficilmente possono permettersi di utilizzare tali tecnologie.

Strumenti come il eye-tracking e le biometrie stanno guadagnando popolarità nel neuromarketing, poiché sono un po’ più accessibili per le aziende che desiderano applicare neuroscienze nelle loro strategie. L’eye-tracking, ad esempio, permette di studiare il movimento degli occhi dei consumatori mentre interagiscono con contenuti pubblicitari o siti web. Questa tecnologia consente di identificare quali elementi catturano l’attenzione dell’utente, quanto tempo viene speso su ciascun elemento e dove il focus visivo si concentra maggiormente, dando così informazioni importanti al professionista. La biometria, che misura parametri come la frequenza cardiaca e la risposta galvanica della pelle, fornisce informazioni sul livello di eccitazione emotiva dei consumatori durante l’interazione con un messaggio pubblicitario. Anche in questo caso però l’accesso a questi strumenti è appannaggio di realtà molto grandi che fondano il loro business su queste informazioni. 

I test comportamentali

Tuttavia, il vero potenziale del neuromarketing si manifesta quando si applicano strumenti a test comportamentali su un pubblico più ampio, con focus specifici su contenuti empatici ed emotivi. La ricerca ha dimostrato che i consumatori rispondono più intensamente a contenuti che attivano emozioni genuine, come la gioia, la sorpresa o l’empatia. Pertanto, uno degli approcci più efficaci nel neuromarketing è quello di progettare contenuti che siano in grado di suscitare emozioni autentiche, che possano stimolare il coinvolgimento e la memorizzazione. Questi test, condotti con gruppi di consumatori rappresentativi, possono includere stimoli visivi (come immagini e video) o testuali (come slogan o storie), mirati a evocare una risposta emotiva. I risultati di questi test aiutano i marketer a perfezionare le loro campagne, facendo leva sulle emozioni piuttosto che su semplici appelli razionali.

Di nuovo stiamo prendendo per buoni dati statistici, magari anche con un target vicino alle personas che vogliamo influenzare, senza avere in mano poi un vero e proprio campione reale.

Il neuromarketing sta sicuramente espandendo i confini e i parametri a disposizione dei marketer, soprattutto da quando gli abbiamo dato un note noto e comprensibile.

Non si tratta più solo di tentare di vendere un prodotto, ma di creare esperienze personalizzate e scientificamente ottimizzate che rispondano ai desideri e alle necessità profonde dei consumatori.

Questa nuova era del marketing, che combina dati comportamentali e neuroscientifici, consente alle aziende di essere più mirate e precise, aumentando l’efficacia delle loro strategie di comunicazione, ed è nuova perchè oggi possiamo dare tutto in pasto alle AI e con il loro aiuto riusciamo a automatizzare e ad efficientare i processi produttivi e l’analisi dei dati.

L’Etica nel Neuromarketing: Manipolazione o Empatia?

Uno degli aspetti più discussi e controversi del neuromarketing è la questione etica. L’utilizzo di tecniche avanzate per influenzare il comportamento dei consumatori solleva interrogativi morali sul confine tra persuasione e manipolazione. Se, da un lato, il neuromarketing consente di creare esperienze più significative e coinvolgenti per i consumatori, dall’altro, può anche diventare un mezzo per manipolare inconsciamente le persone, sfruttando vulnerabilità psicologiche senza che il consumatore ne sia consapevole.

Alcuni esperti di neuroscienza e marketing sostengono che il neuromarketing, se utilizzato in modo responsabile, può migliorare l’esperienza del consumatore, facilitando la personalizzazione dei contenuti e migliorando la qualità delle interazioni tra brand e pubblico. Ad esempio, utilizzare tecniche neuroscientifiche per comprendere meglio le emozioni dei consumatori può aiutare a creare messaggi che risuonano positivamente e migliorano il benessere dell’utente. Tuttavia, altre voci, come quelle di alcuni esperti di etica e diritto, avvertono che queste pratiche potrebbero oltrepassare un confine etico, trasformandosi in tecniche di manipolazione. La capacità di un brand di creare contenuti in grado di evocare emozioni potenti potrebbe portare a sfruttare emozioni come la paura o l’ansia per spingere i consumatori a prendere decisioni d’acquisto.

Nel 2025, sono emerse discussioni su come regolamentare l’uso di tecniche neuroscientifiche in pubblicità. La European Union Digital Markets Act (DMA) e il GDPR sono solo alcuni degli esempi di normative che cercano di bilanciare l’innovazione con la protezione dei diritti dei consumatori. L’etica del neuromarketing riguarda anche la trasparenza: i consumatori devono essere consapevoli del fatto che le aziende utilizzano questi strumenti per raccogliere dati su di loro, e devono essere informati su come questi dati vengono utilizzati.

Conclusioni

L’applicazione delle neuroscienze nel marketing ha il potenziale di migliorare l’esperienza del consumatore, ma è essenziale che le aziende adottino una condotta etica e responsabile, garantendo che le loro tecniche non invadano la privacy o manipolino le emozioni in modo dannoso. La consapevolezza etica diventerà, quindi, un fattore chiave per il futuro del neuromarketing. Non basta solo concentrarsi sui benefici economici a breve termine, ma è cruciale costruire una relazione di fiducia con i consumatori, facendo in modo che l’utilizzo delle neuroscienze sia sempre a beneficio di entrambi, consumatori e brand.

Riassumendo:

  • il neuromarketing così visto è uno strumento che non è buono o cattivo, ma dipende da come si utilizza;
  • è necessario fare un passo in più, oltre la trasparenza, cercando una consapevolezza nell’utente, che possa proteggere da manipolazioni troppo forti;
  • è sicuramente uno strumento molto potente che fa risparmiare energie e fondi che possono essere indirizzati altrove, dando comunque ottimi risultati.

Nelle prossime settimane approfondirò alcuni aspetti che per me e per il nostro modo di vedere il marketing sono importanti, in più pubblicheremo una serie di interviste a ricercatori e docenti universitari che ci aiuteranno a capire a cosa siamo costantemente sottoposti e magari ci daranno qualche consiglio su come “proteggerci” da  manipolazioni eccessive. 

Articolo di Alessandro Villa

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