Ieri eravamo a Milano per un evento di networking organizzato da uno dei circuiti di moneta complementare a cui partecipiamo e, come spesso accade in queste occasioni, non sai mai cosa aspettarti. Avevamo fissato in anticipo alcuni appuntamenti “al buio” con realtà che ci interessavano, ma alla fine siamo stati occupati tutto il giorno a parlare sempre di “reputazione”, della stessa cosa, seppure con persone diverse, in contesti differenti, e ricoprendo ruoli opposti: a volte eravamo noi gli acquirenti, a volte i venditori.
Il tema ricorrente? La reputazione. O meglio: il divario tra reputazione e percepito.
C’è una distanza, spesso incolmabile, tra quello che sappiamo fare e quello che comunichiamo. E un’altra, altrettanto pericolosa, tra quello che comunichiamo e quello che il cliente capisce. Questo divario è sempre esistito, ma oggi rischia di diventare ancora più profondo. Il digitale ci inonda ogni giorno di contenuti, stimoli, parole, immagini. In questa sovrabbondanza, emergere è difficile. E dire qualcosa di rilevante, ancora di più.
Comunicare ci espone, ma ci distingue
Durante l’evento, abbiamo parlato con professionisti molto preparati. In qualità di potenziali clienti, ci sono voluti 20 minuti di conversazione informale per arrivare al punto, per capire davvero il valore che avevamo davanti. In un altro incontro, questa volta nei panni di fornitori, ci siamo trovati davanti una persona che, con semplicità, ci ha detto: “Ho fatto un post su LinkedIn con oltre 20mila visualizzazioni organiche. Solo perché ho detto qualcosa di mio”. Non una strategia complicata, non una sponsorizzazione. Solo la forza dell’autenticità.
Quante volte rinunciamo a raccontarci per paura del giudizio? Quante volte ci autocensuriamo per non essere travolti dal rumore? Il risultato è che diventiamo invisibili. Ma se il nostro lavoro è aiutare le aziende a emergere, a distinguersi, a farsi vedere, perché dovremmo avere paura di farlo per noi stessi?
Addio sito vetrina, benvenuto spazio di pensiero
Proprio per questo, da ieri mattina, abbiamo deciso di dare un segnale concreto. Abbiamo spostato la parte classica del nostro sito – quella con la descrizione dei servizi, le referenze, i “chi siamo” – in una sezione secondaria. E abbiamo messo in prima linea il blog: il nostro spazio di scrittura, riflessione, racconto.
Scrivere per noi è diventato un atto di posizionamento. E ci siamo accorti che nessun altro strumento racconta meglio chi siamo, come lavoriamo, cosa sappiamo fare. Certo, ci sono ancora dettagli tecnici da sistemare. Ma quello che conta è il messaggio: non vogliamo più essere una vetrina, vogliamo essere una voce.
Un cambio di paradigma che va oltre il design
Cambiare sito non è una notizia. Cambiare visione, sì. Per questo ci sembrava importante scriverne. Non per annunciare un restyling, ma per condividere un cambiamento culturale. Crediamo che oggi, più che mai, chi ha idee, esperienza e qualcosa da dire debba farlo. Anche a costo di sbagliare. Anche rischiando di non piacere. Anche affrontando critiche.
Perché la reputazione si costruisce parlando. E il percepito cambia solo se si ha il coraggio di mostrarsi.
Quando ieri ci hanno chiesto: “Ma quindi, cosa fate esattamente in Dreamers?”, la risposta è stata semplice: “Vai sul nostro sito o su LinkedIn. Lì trovi tutto quello che pensiamo. Ed è esattamente quello che poi facciamo”.
Articolo di Alessandro Villa